D1 — Nel 2013 Timothy Morton pubblica Hyperobjects, un libro al quale il nostro disco è ispirato. (Per avere un’idea di cos’è un iperoggetto, pensa al riscaldamento globale, che è: non-locale, viscoso, esteso nel tempo, ecc. ecc.). Morton nel suo libro fa anche vari esempi di hyper-music, passando dai My Bloody Valentine a The Well Tuned Piano di La Monte Young. (Se sei interessato, qui puoi ascoltare un mixtape fatto dai ragazzi di Not con alcune selezioni sulla base dei nomi fatti da Morton). Ora, senza necessariamente conoscere nel dettaglio ciò che dice Morton nel libro, se tu dovessi immaginare una hyper-music, quali caratteristiche dovrebbe avere secondo te? Perché?
Andrea - Non conoscendo il testo, nel raffinarsi delle definizioni, hypermusic sarebbe solo l’ultima delle categorizzazioni per un’arte che si è costruita a partire da uno dei fondamenti dell’universo, il suono, che precede l’umano e le sue categorie.
Se dovessi immaginare la hypermusic allora la immaginerei come qualcosa che non citi pedissequamente un esempio dal passato e che si sganci dal limitato contesto dell’uomo; investendo tutto ciò che è manifesto al di là del silenzio, e il silenzio stesso. Una pièce che comprenda tanto i colpi di gocce d’acqua al disgelo che il crollo di un palazzo, il fruscio di una connessione tra macchine logiche e i mormorii che precedono lo scoppio di una sommossa. Una musica in cui la compresenza di elementi casuali faccia scaturire qualcosa che sembri accennare a uno svincolamento dal caso.
Oppure il frinire di un grillo.
D2 - L'altro tema portante di dTHEd è la neurodiversità. Per i neurotipici, immaginare la vita di un neurodiverso è estremamente complesso, al limite dell'impossibile. È dunque lecito chiedersi se sia possibile per dei neurotipici addirittura creare dell'arte ispirata e fruibile da neurodiversi. Secondo te, cosa si potrebbe fare e in che maniera dovrebbe differenziarsi dall'arte per neurotipici? Ha senso creare un'arte con queste premesse o dobbiamo immaginare che l'arte nella sua vastità possa già soddisfare anche i neurodiversi?
Andrea - La nostra prospettiva sull’altro ci consente di riconoscerci, anche se non riusciremo mai a vedere con gli occhi dell’altro. Il provare a parlare il linguaggio di qualcuno che è diverso è una ricerca, una sfida, un’apertura delle porte dell’immaginazione. Anche se il risultato sarà inutile, come l’arte – sommo impegno per la costruzione, la categorizzazione e l’interpretazione umana. Se poi ognuno incarna una particolare deviazione, una nevrosi, un’incapacità o un’abilità, allora qualunque musica sarà il tentativo di comprendersi e comprendere ciò che non siamo.