D1 — Nel 2013 Timothy Morton pubblica Hyperobjects, un libro al quale il nostro disco è ispirato. (Per avere un’idea di cos’è un iperoggetto, pensa al riscaldamento globale, che è: non-locale, viscoso, esteso nel tempo, ecc. ecc.). Morton nel suo libro fa anche vari esempi di hyper-music, passando dai My Bloody Valentine a The Well Tuned Piano di La Monte Young. (Qui puoi ascoltare un mixtape fatto dai ragazzi di Not con alcune selezioni sulla base dei nomi fatti da Morton). Ora, senza necessariamente conoscere nel dettaglio ciò che dice Morton nel libro, se tu dovessi immaginare una hyper-music, quali caratteristiche dovrebbe avere secondo te? Perché?
Filippo - Mi viene in mente quel che diceva John Cage nell'ascoltare i suoni che le città, le case, gli elettrodomestici eccetera ci danno tutti i giorni tutto il giorno. Non ho del tutto chiaro il concetto di iperoggetto, ma in musica immagino suoni apparentemente non musicali, e il nostro ascoltarli spesso li costringe ad essere musicali, gli coloriamo addosso un ritmo e una melodia, ci immaginiamo in qualche modo una intenzionalità e quindi li trasformiamo in musica (potrei non avere chiaro nemmeno il concetto di musica, neh).
Però ancora più ipermusica immagino essere la somma dei suoni che fanno i nostri corpi: il battito cardiaco, la respirazione, i suoni articolari e muscolari eccetera. Qui il ritmo c'è, una qualche forma di melodia anche. Manca la percezione, e come spesso spiego ai miei pazienti non manca la percezione perché sono suoni di bassa intensità, ma perché vengono filtrati dal nostro cervello, che li ritiene suoni neutri, ambientali, e quindi addirittura "inutili", comunque che non ha bisogno di ascoltare. Però ci sono, e suonano, indipendentemente dalla nostra volontà, indipendentemente dalla nostra percezione. E addirittura ci condizionano, probabilmente ci fanno muovere secondo il loro ritmo, senza che ce ne accorgiamo. E sono ovunque. Figuratevi che sono addirittura suoni necessari, perché se abbiamo un abbassamento uditivo che blocca la ricezione di quei suoni a livello dell'orecchio, allora iniziano i problemi.
D2 - L'altro tema portante di dTHEd è la neurodiversità. Per i neurotipici, immaginare la vita di un neurodiverso è estremamente complesso, al limite dell'impossibile. È dunque lecito chiedersi se sia possibile per dei neurotipici addirittura creare dell'arte ispirata e fruibile da neurodiversi. Secondo te, cosa si potrebbe fare e in che maniera dovrebbe differenziarsi dall'arte per neurotipici? Ha senso creare un'arte con queste premesse o dobbiamo immaginare che l'arte nella sua vastità possa già soddisfare anche i neurodiversi?
Filippo - Questa è ancora più difficile. Intanto definiamo tipico ciò che è comune, e per molti (ad esempio me) quello che attrae nell'arte è esattamente il suo discostarsi da una norma di qualche tipo. Oggi la diversità nell'arte è eccezionale, c'è di tutto o quasi, ma essere soddisfatti da un qualche prodotto artistico prevede una serie di condizioni, e forse le difficoltà maggiori stanno non nelle qualità intrinseche dell'arte ma nella capacità che abbiamo di portare a tutti il più possibile di tutto quel che c'è, di comprendere e rispettare le scelte di tutti e così via. La mia storia chiamiamola culturale mi porta a concludere, il più delle volte, che tutto dovrebbe sempre essere personalizzato, che niente va bene per tutti e che probabilmente quando qualcosa va bene ad anche solo due persone differenti gli va bene in modo diverso tra di loro.
Insomma siamo tutti anche una somma e una miscela di diversità e tipicità, quindi capisco fino a un certo punto la domanda che ponete: io ho sempre immaginato che ogni persona possa essere soddisfatta da qualcosa di diverso da tutti gli altri, a prescindere dalla sua tipicità o diversità. Quindi forse la risposta è che più che di creare un'arte ci sia bisogno di portarla ovunque, tutta, creare la possibilità di accesso e fruizione. Che è forse altrettanto complesso.