D1 — Nel 2013 Timothy Morton pubblica Hyperobjects, un libro al quale il nostro disco è ispirato. (Per avere un’idea di cos’è un iperoggetto, pensa al riscaldamento globale, che è: non-locale, viscoso, esteso nel tempo, ecc. ecc.). Morton nel suo libro fa anche vari esempi di hyper-music, passando dai My Bloody Valentine a The Well Tuned Piano di La Monte Young. (Qui puoi ascoltare un mixtape fatto dai ragazzi di Not con alcune selezioni sulla base dei nomi fatti da Morton). Ora, senza necessariamente conoscere nel dettaglio ciò che dice Morton nel libro, se tu dovessi immaginare una hyper-music, quali caratteristiche dovrebbe avere secondo te? Perché?
Riccardo - Leggendo le descrizioni iperboliche di Morton si è spesso tentati di immaginare una musica che sia caratterizzata da potenza e impeto. Lo stesso Morton sembra sfiorare questa suggestione quando cita My Bloody Valentine, Eliane Radigue, Wolves In The Throne Room, tutti artisti che a loro modo mettono in luce una personale prospettiva di imponenza. Probabilmente però, questo è giusto solo in parte. L'iper-oggetto è infatti usato da Morton a mo' di strumento concettuale in riferimento a entità spaziali e temporali che non sono alla portata dell'essere umano. La tentazione di pensare la potenza deriverebbe quindi da questa vastità indefinita che l'iper-oggetto porta nella sua essenza.
Una hyper-music davvero autentica, almeno da quel punto di vista, dovrebbe essere qualcosa di indecifrabile dall'orecchio umano. Viene da sé che, qualora si riuscisse a performarla, il suo grado di godibilità sarebbe quantomeno discutibile. Si è costretti quindi a ricorrere a una hyper-music più — per così dire — espressionista. Probabilmente chi nei primi anni Settanta ha avuto la fortuna di ascoltare i primi lavori del minimalismo americano si è inconsapevolmente trovato al cospetto di una vera e propria hyper-music, se si considera quanto fondamentale fosse la dilatazione del tempo in quel genere.
Quindi, per essere analitici, si dovrebbe lavorare su spazio e tempo? Non necessariamente, ma credo sia fondamentale avere la pretesa di creare nuove forme, soprattutto sfruttando la tecnologia di cui si dispone.
D2 - L'altro tema portante di dTHEd è la neurodiversità. Per i neurotipici, immaginare la vita di un neurodiverso è estremamente complesso, al limite dell'impossibile. È dunque lecito chiedersi se sia possibile per dei neurotipici addirittura creare dell'arte ispirata e fruibile da neurodiversi. Secondo te, cosa si potrebbe fare e in che maniera dovrebbe differenziarsi dall'arte per neurotipici? Ha senso creare un'arte con queste premesse o dobbiamo immaginare che l'arte nella sua vastità possa già soddisfare anche i neurodiversi?
Riccardo - Senza dubbio è lecito domandarselo, ma credo sia impossibile rispondere, almeno fino a quando non si aprirà un canale comunicativo soddisfacente con quella parte interessata. Ovviamente qualsiasi cosa esperiamo o esprimiamo, la facciamo sempre e solo facendo riferimento all'esperienza della nostra soggettività.
Tornando a 1), per comporre una hyper-music autentica avremmo dovuto parlare la lingua della Terra. Simmetricamente, per comporre qualcosa che con sicurezza risponda alle esigenze estetiche dei neurodiversi bisognerebbe poter disporre della comprensione della loro sfera mentale. Nonostante queste difficoltà, credo abbia comunque senso provare; anche se non immagino neanche in che modo e a quale livello epistemologico possa differire dall'arte dei normotipici.